“l’arte è…“ è lo spazio d’arte
sede dell’Associazione Culturale “il peperoncino”
Da
oltre un secolo, da quando il concetto di arte è stato completamente
rivoluzionato, critici, storici e uomini di cultura dibattono per definire cosa
sia oggi l’Arte. Un contributo a questo tema senza fine, che coinvolge un
numero sempre crescente di frequentatori di gallerie e studi d’artisti, è
offerto nel Borgo di Calcata da questo nuovo spazio espositivo attraverso un
fitto calendario di mostre curate dal critico Giuseppe Salerno.
Periodo: 5-20 febbraio (sabato e domenica)
Orario: 11.00/13.00 – 15.00/19.00
Titolo: “La Partita Interrotta”
Artista: Alessandro D’Ercole
Curatore: Giuseppe Salerno
Organizzazione: Associazione Il Peperoncino
Inaugurazione: sabato 5 febbraio ore17.00
Chi può sottrarsi al fascino della dimensione tempo?
Una dimensione che nel suo scorrere nulla lascia inalterato.
Un divenire che vede nella materia ferrosa una rappresentazione ricca di suggestioni. Persa la lucentezza, la lamiera genera ruggine, abbandona il colore e la solidità originaria sino a divenire altro, proprio come un corpo umano destinato a piegarsi su se stesso.
Quel pugno di ruggine a cui l’opera è destinata a ridursi, ci tocca nel profondo. La vita interna ed il carattere proprio della materia che ne segnano il percorso e la fine costituiscono una condizione di ineluttabilità con la quale tutti ci troviamo a fare i conti. Un coinvolgimento cui è difficile sottrarsi. Come all’oggetto di ferro che genera ruggine difficilmente attribuiamo dignità riconoscendolo superficialmente come vecchio, altrettali considerazioni, sempre più diffusamente, esprimiamo per la ruggine umana.
Una società portatrice di visioni consumistiche che travolgono l’essenza stessa della vita, trova nelle sculture di Alessandro D’Ercole l’occasione per una profonda riflessione. Il ferro ed il pensiero dell’artista, sotteso in ogni sua opera, generano considerazioni infinite sull’esistenza.
La scacchiera ed i suoi personaggi, metafora di questo nostro passaggio esprimono la visione di D’Ercole che tale passaggio considera un gioco. Una partita con il mondo che ci circonda, una partita nella quale siamo costantemente impegnati.
La vita come percorso non casuale, sempre frutto di scelte più o meno coscienti, giuste o sbagliate che siano.
Una partita senza fine, senza vincitori, senza vinti, una partita dove la sola cosa che conta è la massima attenzione, sin tanto che la ruggine avrà intaccato qualcosa.
Giuseppe Salerno
“l’arte è…” ha avviato le proprie attività con un ciclo di mostre che vedono le Architetture di Sabbia realizzate da Lughia, un’artista che a Calcata ha una sua esposizione permanente di opere, accostate ai lavori di artisti che con tali opere hanno delle sintonie.
“Dimensione Viaggio” (2 - 17 ottobre)
Lughia ed
Enrico Abenavoli accendono, come per magia, le luci su percorsi dell’anima.
Viaggi del corpo, viaggi della mente. Percorsi che attraversano le cose e
percorsi che attraversano i pensieri. Deserti, catene montuose e distese
sconfinate sono universi, luoghi della mente, ai quali Lughia dà forma con
sabbie e sassi provenienti da in ogni angolo remoto della terra. Sono quelli di
Lughia scenari magici il cui potere è di indurre chi vi si accosti a proiettare
su di essi il proprio vissuto e ad intraprendere quindi quel percorso
interiore, alla ricerca del sé, che condurrà all’annullamento totale del
pensiero.
Enrico Abenavoli, vive la propria esperienza personale attraversando il deserto in compagnia di se stesso. E il deserto è il non-luogo dove l’artista Abenavoli ritrova la propria centralità, persa in quell’universo che si nasconde dietro gli accadimenti del quotidiano. Immagini fotografiche e pensieri ci fanno ripercorrere il cammino dell’autore. Due artisti, due modi di porci di fronte ad un viaggio nel profondo dell’anima, sollecitato nel primo caso, esternato nel secondo.
“Universi” (20 novembre – 5dicembre) inaugurazione sabato 20 novembre ore 17.00
Per millenni l’uomo è stato condizionato dal rapporto diretto con l’ambiente naturale. I “luoghi”, più o meno circoscritti, hanno dettato le condizioni della sopravvivenza fisica ed hanno determinato gli ambiti mentali entro i quali si è sviluppato il pensiero. In tempi recenti gli uomini han preso ad abbandonare le terre distaccandosi fisicamente e mentalmente da quegli spazi ristretti che da sempre sono stati per essi fonte di sostentamento.
A partire dalla
seconda metà dell’ottocento, larga parte dell’umanità ha intrapreso un percorso
che l’avrebbe portata ad allentare sempre più i contatti con la madre terra e
con i ritmi naturali che scandiscono il lento, incessante scorrere del tempo.
Il susseguirsi del giorno e della notte, l’alternarsi del caldo e del freddo e
l’avvicendarsi delle stagioni un tempo condizionavano fortemente l’uomo
costantemente impegnato, per la personale sopravvivenza, a confrontarsi con le
forze della natura. Un allontanamento dall’economia contadina per un passaggio
in massa a lavorazioni che con il luogo hanno avuto, nel tempo, sempre meno a
che vedere. Non è più il territorio fonte di sopravvivenza per gli uomini bensì
la capacità organizzativa di questi i cui orizzonti fisici e mentali si sono
progressivamente allargati. L’umanità ha preso a viaggiare, a vedere lontano ad
estendere le proprie conoscenze. Un sapere sempre più vasto ma superficiale, a
scapito di un’antica, profonda capacità di comprendere e condividere. Oggi i
ciclici fenomeni naturali sono percepiti “lontani” da miliardi di persone
svincolate da ogni rapporto diretto con la natura e sempre più racchiuse in
limitati luoghi artificiali sempre uguali a se stessi, dove la luce non
tramonta e la temperatura non subisce oscillazioni. Con la perdita del contatto
fisico e quotidiano con la terra è andato sostanzialmente scemando il rapporto
dell’uomo con l’ambiente e con esso l’istinto animale, o meglio la capacità,
alla sopravvivenza. Privata del rapporto diretto con le manifestazioni della
natura l’umanità appare estranea ad un sistema di cui è parte integrante e in
ciò non c’è soltanto la perdita della sua “animalità” ma soprattutto
l’allontanamento dalla componente spirituale, quella che trae linfa vitale da
un rapporto viscerale e sintonico con la “Madre Terra”. Estranea alla produzione
dei frutti della terra ed alla cura degli animali, l’umanità ha perso il senso
del divenire. Il singolo uomo ha scisso il proprio destino dalle ristrettezze
del luogo che un tempo lo accoglieva mentre chi governa l’umanità nel suo
complesso ha fatto propria, sotto la bandiera della globalizzazione, una
visione strettamente economica dell’antico rapporto con l’ambiente.
All’intorno e nel profondo di ogni singolo uomo è cresciuto un grande vuoto. I
lavori di due artisti, Gabriele Mazzara e Lughia, colgono pienamente questa
nuova condizione. Gabriele Mazzara con le sue “tribù senza terra”, Lughia con i
suoi mondi “disertati dalla presenza umana”.
Da una parte esseri arcaici, decontestualizzati, che non trovano riscontro in alcuna precedente rappresentazione ma che certamente albergano da qualche parte, nel profondo della nostra anima, impegnano con la loro presenza il vuoto assoluto. Essenziali nelle loro rigide fattezze ci appaiono stanziali, caratterizzati da grandi piedi, più necessari al mantenimento dell’equilibrio che non all’attraversamento dei luoghi. Prorompenti organi sessuali in corpi scarsamente articolati sembrano volerci rassicurare sul futuro mentre la rigidità del portamento ci lascia piuttosto pensare, come in un cerchio che si chiude, ad antiche società pietrificate.
Dall’altra
“architetture di sabbia”, immensi scenari desertici, disertati dall’uomo.
Contesti dove il lento fluire del tempo è segnato dall’inarrestabile divenire
che trasforma la pietra in sabbia, per poi tornare a compattarla in un ciclico,
infinito ritorno. Luoghi della mente, universi infiniti carichi di atmosfere,
ricchi di un nulla che racchiude tutto, un tutto che ineluttabilmente accoglie
quella stessa umanità che si autoesclude. Un tutto concepito e non più vissuto.
Silenti, senza interferenze, i due universi coesistono.