Informazioni e pubblicità
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  • Come è nato l'opuscolo




  • (A questo punto qualcuno si sarà chiesto perché molto di quanto scritto non è di conoscenza comune…Dove possiamo prendere le informazioni?   Vediamo intanto quello che possiamo desumere dalle informazioni presenti sulle confezioni dei prodotti. Pubblicità come informazione?

    Visto quanto spendono in pubblicità è facile intuire che il peso del business è più forte di qualsiasi altra cosa. Ma chi avrebbe dovuto informarci a livello statale? )

     

    INFORMAZIONI E PUBBLICITA’

     

    LE INFORMAZIONI DATE DALLE AZIENDE

    Etichetta

    Ingredienti

    Esenzioni dall’indicazione degli ingredienti

    Termine minimo di conservazione e data di scadenza

    Sulle uova…

    PUBBLICITA’ COME INFORMAZIONE? (tabella n.10)

    CHI AVREBBE DOVUTO INFORMARCI?

     

     

     

     

    INFORMAZIONI E PUBBLICITÀ

     

    _Probabilmente, a questo punto, avrete compreso quanto l’informazione sia fondamentale per qualsiasi tipo di prevenzione; fondamentale per darci la possibilità di cambiare e migliorare, ammesso che abbiate qualcosa da migliorare, o semplicemente per continuare, ma con la consapevolezza di chi sceglie, a percorrere la vecchia strada.

    Ma chi si trova nella necessità di reperire informazioni, si sarà accorto che questo può non essere semplice.

    Da dove cominciare? (AUTO)!

    E' difficile accettare che per alimenti tutt'altro che salubri o necessari venga fatta sui mass media una pubblicità bombardante, e, per quelli che dovrebbero essere i nostri mezzi di difesa dal punto di vista alimentare e della salute, non ci e' dato sapere pressoché nulla. (AUTO)

    A questo proposito possiamo utilizzare le Linee guida alimentari, stabilite da un gruppo multidisciplinare di esperti, su iniziativa dell'Istituto Nazionale della Nutrizione, pubblicazioni dirette sostanzialmente a fornire consigli pratici per l'orientamento nutrizionale della popolazione.

                           

                                LE INFORMAZIONI DATE DALLE AZIENDE

     

    ETICHETTA

    _Sicuramente la prima, e spesso unica, fonte d’informazioni sulle caratteristiche del prodotto che intendiamo acquistare è l’etichetta; è importante quindi saperla “decifrare” correttamente. (AUTO)

    _Le indicazioni obbligatorie che si trovano sull'etichetta includono tra l'altro:

    -         la denominazione di vendita,

    -         l'elenco degli ingredienti,

    -          

    -         il termine minimo di conservazione,

    -         la quantità netta,

    -         le modalità di conservazione e di utilizzazione, qualora sia necessaria l'adozione di particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto,

    -         il titolo alcolometrico, per le bevande alcoliche.

    Le menzioni obbligatorie solo in presenza di determinate condizioni includono:

    -         il luogo di origine o di provenienza,

    -         le istruzioni per l'uso.(27-9-26)!

     

    _Per quanto riguarda i prodotti importati da altri Paesi europei, dal 1° gennaio 1993 vige il principio del “mutuo riconoscimento”, ossia il prodotto fabbricato in base alla legge in vigore nel Paese di produzione, deve poter circolare liberamente in tutti gli altri Stati membri; la libera circolazione può avvenire anche in contrasto con le norme esistenti nel Paese di destinazione, salvo i casi in cui vi sia qualche esigenza preminente come la tutela della salute pubblica, la difesa ed il miglioramento

    dell’ambiente, l’ordine pubblico e la protezione dei consumatori.

    In quest’ultimo caso, una disposizione comunitaria precisa che “la commercializzazione di un prodotto alimentare, importato da un altro Stato membro in cui è largamente prodotto e commercializzato, non può di massima essere proibita per motivi concernenti la difesa dei consumatori, anche se tale prodotto è sprovvisto di un’etichettatura adeguata per quanto riguarda la sua natura e le sue caratteristiche, in osservanza alle legislazioni comunitarie”.

    Inoltre la Corte di Giustizia di Bruxelles ritiene che l’apposizione obbligatoria di un’adeguata etichettatura normalmente basti a garantire i consumatori contro eventuali frodi;  la stessa Corte ritiene tuttavia che questo principio non è invalidato dal fatto che numerosi prodotti alimentari vengono consumati nei bar o nei ristoranti, e quindi non abbiamo informazioni sulla loro composizione o provenienza perché l’informazione dei consumatori sulla natura e sulle caratteristiche del prodotto non può essere garantita anche in questi casi !!!

    Va inoltre evidenziato come un prodotto ottenuto in un altro Paese europeo con sistemi di produzione legali in quel Paese ma non in Italia, ha diritto di circolare nel nostro Paese, come ad esempio taluni tipi di formaggio fabbricati con l’impiego di latte in polvere, metodo vietato dalle nostre leggi.(67-18)!

     

    INGREDIENTI

    _Fondamentale per la “lettura” delle caratteristiche di un prodotto è la lista degli ingredienti; per questo riteniamo opportuno riportarvi per intero l’art. 5 del D. lgs. 109/92, che cita:

    1. Per ingrediente si intende qualsiasi sostanza, compresi gli additivi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata.

    2. Gli ingredienti devono essere designati con il loro nome specifico; tuttavia:

    a)    gli ingredienti, che appartengono ad una delle categorie elencate nell’allegato I e che rientrano nella composizione di un altro prodotto alimentare, possono essere designati con il solo nome di tale categoria;

    b)    gli ingredienti, che appartengono ad una delle categorie elencate nell’allegato II devono essere designati con il nome della loro categoria seguito dal loro nome specifico o dal relativo numero CEE. Qualora un ingrediente appartenga a più categorie, deve essere indicata la categoria corrispondente alla funzione principale che esso svolge nel prodotto finito.

    3. L’elenco degli ingredienti è costituito dalla enumerazione di tutti gli ingredienti del prodotto alimentare, in ordine di peso decrescente al momento della loro utilizzazione; esso deve essere preceduto da una dicitura appropriata contenente la parola “ingrediente”.

    4. L’acqua aggiunta e gli altri ingredienti volatili sono indicati nell’elenco in funzione del loro peso nel prodotto finito. L’acqua aggiunta può non essere menzionata ove non superi, in peso, il 5 per cento del prodotto finito.

    5. La quantità di acqua aggiunta come ingrediente in un prodotto alimentare è determinata sottraendo dalla quantità totale del prodotto finito la quantità degli altri ingredienti adoperati al momento della loro utilizzazione.

    6. Nel caso di ingredienti utilizzati in forma concentrata o disidratata e ricostituiti al momento della fabbricazione, l’indicazione può avvenire nell’elenco in base al loro peso prima della concentrazione o della disidratazione con la denominazione originaria.

    11. Un ingrediente composto può figurare nell’elenco degli ingredienti con la propria denominazione prevista da norme specifiche o consacrata dall’uso in funzione del peso globale, purché sia immediatamente seguito dalla enumerazione dei propri componenti.

    12. La enumerazione di cui al comma 11 non è obbligatoria:

    a)    se l’ingrediente composto rappresenta meno del 25% del prodotto finito;

    b)    se l’ingrediente composto è un prodotto per il quale l’elenco degli ingredienti non è prescritto;

    c)     quando si tratta di ingredienti i quali, durante il processo di fabbricazione, siano stati temporaneamente tolti da un ingrediente composto per esservi immessi di nuovo in un quantitativo non superiore al tenore iniziale.

    13. La menzione del trattamento di cui all’art. 4 comma 3, non è obbligatoria, salvo nel caso sia espressamente prescritta da norme specifiche; l’ingrediente sottoposto a radiazioni ionizzanti, tuttavia, deve sempre essere accompagnato dall’indicazione del trattamento.

    (Art.4 comma 3: La denominazione di vendita comporta una indicazione relativa allo stato fisico in

    cui si trova il prodotto alimentare o al trattamento specifico da esso subito (ad esempio: in polvere, concentrato, liofilizzato, surgelato, affumicato) se l’omissione di tale indicazione può creare confusione nell’acquirente.)(66-41)!

     

    _Presentiamo ora alcune voci dell’allegato I che si riferisce a:

    CATEGORIE DI INGREDIENTI CHE RIENTRANO NELLA COMPOSIZIONE DI UN ALTRO PRODOTTO

    ALIMENTARE PER I QUALI L’INDICAZIONE DELLA CATEGORIA PUÒ SOSTITUIRE QUELLA DEL NOME SPECIFICO

     

    DEFINIZIONE                                     DESIGNAZIONE

    Oli raffinati diversi dall’olio di oliva.             “Olio”, completata:

    _ o dall’aggettivo qualificativo “vegetale” o “animale”, a seconda dei casi;


    _ o dalla indicazione dell’origine specifica vegetale o animale.

    Inoltre nel caso di olio idrogenato la menzione di cui sopra deve essere accompagnata dall’attributo “idrogenato”.

     


    Grassi raffinati.                                  “Grasso”, completata:

    _o dall’aggettivo qualificativo “vegetale” o “animale”, a seconda dei casi;

    _o dalla indicazione dell’origine specifica vegetale o animale.

     

    Amidi e fecole naturali e amidi e          Amido, fecola.

    fecole modificati per via fisica o

    chimica.

     

    _Allegato II

    CATEGORIE DI INGREDIENTI CHE DEVONO ESSERE OBBLIGATORIAMENTE DESIGNATI CON IL NOME DELLA LORO CATEGORIA SEGUITO DAL RISPETTIVO NOME SPECIFICO O DAL NUMERO CEE.

     


    Colorante

    Conservante

    Antiossidante

    Emulsionante

    Addensante

    Gelificante

    Stabilizzante

    Esaltatore di sapidità

    Acidificante

    Correttore di acidità

    Antiagglomerante

    Amido modificato (1)

    Edulcorante artificiale

    Polvere lievitante

    Antischiumogeno

    Agente di rivestimento

    Sali di fusione (2)

    Agente di trattamento della farina (66-45)!


     

    (1)L’indicazione del nome specifico o del numero CEE non è richiesta.

    (2)Soltanto per i formaggi fusi e i prodotti a base di formaggio fuso.

     

    ESENZIONI DALL’INDICAZIONE DEGLI INGREDIENTI

     

    Le sostanze elencate nel 1° comma art.7 D.lgs. 109/1992 venendo espressamente escluse dalla normativa possono lecitamente essere taciute in sede di etichettatura.

    1.    Non sono considerati ingredienti:

    a)    i costituenti di un ingrediente che, durante il procedimento di lavorazione, siano stati temporaneamente tolti per esservi immessi successivamente in quantità non superiore al tenore iniziale;

    b)    gli additivi, la cui presenza nel prodotto alimentare è dovuta unicamente al fatto che erano contenuti in uno o più ingredienti di detto prodotto, purché essi non svolgano più alcuna funzione nel prodotto finito, secondo quanto stabilito dai decreti ministeriali adottati ai sensi degli articoli 5 lettera g) e 22 della legge 30 aprile 1962, n. 283;

    c)     i coadiuvanti tecnologici; per coadiuvante tecnologico si intende una sostanza che non viene consumata come ingrediente alimentare in sé, che è volontariamente utilizzata nella trasformazione di materie prime, prodotti alimentari o loro ingredienti, per rispettare un determinato obiettivo tecnologico in fase di lavorazione o trasformazione e che può dar luogo alla presenza non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito;

    d)    le sostanze utilizzate, nelle dosi strettamente necessarie, come solventi o supporti per gli additivi e per gli aromi e le sostanze il cui uso è prescritto come rivelatore.

    2.    L’indicazione degli ingredienti non è richiesta:

    a)    nei prodotti costituiti da un solo ingrediente, salvo quanto disposto da norme specifiche;

    b)    negli ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che non siano stati sbucciati, tagliati, o che non abbiano subito trattamenti;

    c)     nel latte e nelle creme di latte fermentati, nei formaggi, nel burro, purché non siano stati aggiunti ingredienti diversi dai costituenti propri del latte, dal sale o dagli enzimi e colture di microrganismi necessari alla loro fabbricazione; in ogni caso l’indicazione del sale è richiesta per i formaggi freschi, per i formaggi fusi e per il burro;

    d)    nelle acque gassate che riportano la menzione di tale caratteristica nella denominazione di vendita;

    e)    nelle acqueviti e nei distillati, nei mosti e nei vini, nei vini spumanti, nei vini frizzanti, nei vini liquorosi e nelle birre con contenuto alcolico superiore a 1,2% in volume;

    f)      negli aceti di fermentazione, provenienti esclusivamente da un solo prodotto di base e purché non siano stati aggiunti altri ingredienti.

    3.    L’indicazione dell’acqua non è richiesta:

    a)    se l’acqua è utilizzata nel processo di fabbricazione unicamente per consentire la ricostituzione nel suo stato originale di un ingrediente utilizzato in forma concentrata o disidratata;

    b)    nel caso di liquido di copertura che non viene normalmente consumato;

    c)     per l’aceto, quando è indicato il contenuto acetico e per l’alcole e le bevande alcoliche quando è indicato il contenuto alcolico.

    4. Fatti salvi i casi indicati al comma 1. lettere b) e c), quanto previsto dalla lettera a) del comma 12 dell’articolo 5 non si applica agli additivi.

     

    Riportiamo, a questo proposito, un commento del magistrato Carlo Correra:

    “in questo modo il consumatore viene lasciato all’oscuro dell’effettiva e completa composizione della sostanza alimentare di cui si è indotto all’acquisto e al consumo.

    In virtù di questo “esonero per legge” dall’obbligo di indicazione gli potrà così capitare di consumare anche:

    -         additivi “veicolati” ovvero presenti in uno o più ingredienti del prodotto da lui acquistato e che non svolgono più alcuna funzione nel prodotto finito;

    -         residui di coadiuvanti tecnologici o di derivati da coadiuvanti lecitamente adoperati e tecnicamente inevitabili, senz’altro senza effetti tecnologici sul prodotto finito e privi di rischio per la salute;

    -         sostanze lecitamente usate come solventi o supporti per gli additivi e per gli aromi e sostanze il cui uso sia persino prescritto dalla legge perché destinato a svolgere, nel prodotto finale, un ruolo di rilevatore.

    Orbene non si riesce a comprendere quale motivazione socialmente e moralmente apprezzabile abbia indotto ad emanare per questi casi una disposizione che volutamente tenga all’oscuro il consumatore della presenza di queste sostanze nell’alimento o bevande che si accinge a consumare personalmente o a far consumare da altri.”(66-53)!

    Leggiamo inoltre negli opuscoli stilati dal Ministero della Sanità che: “La conoscenza degli ingredienti risulta fondamentale specialmente per quei consumatori che sono affetti da allergie a particolari componenti ovvero additivi.” (27-6-17)!

     

    TERMINE MINIMO DI CONSERVAZIONE E DATA DI SCADENZA

    a)    acidità superiore a 5 litri destinati alle collettività;

    b)    i prodotti della panetteria e della pasticceria che, per loro natura, sono normalmente consumati entro le 24 ore successive alla fabbricazione;

    c)     gli aceti;

    d)    il sale da cucina;

    e)    gli zuccheri allo stato solido;

    f)      i prodotti di confetteria consistenti quasi unicamente in zuccheri, aromi e coloranti quali caramelle e pastigliaggi;

    g)    le gomme da masticare e prodotti analoghi;

    h)    I gelati monodose.

    7. E’ vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione.

     

    Citiamo a commento il magistrato Carlo Correra:

    “E’ da notare che la normativa non definisce quali siano gli alimenti che debbono riportare la data di scadenza e quali il termine minino di conservazione, tranne che per i formaggi freschi a pasta filata destinati al consumatore, che devono riportare la data di scadenza; per gli altri alimenti la decisione è lasciata al produttore.

    Così può capitare, girando in un supermercato di vedere la maggior parte degli yogurt riportare la data di scadenza, mentre su qualcuno può figurare il termine minimo di conservazione.

    Inoltre di grande importanza sarebbe, ci sembra, anche la data di confezionamento o di produzione, al fine di determinare esattamente la data scadenza.

    La durabilità di un prodotto alimentare è deter_Secondo quanto recita l’art. 10 del D.Lgs. 109/1992: 

    1. Il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione; esso va indicato con la dicitura

    “da consumarsi preferibilmente entro” seguita dalla data oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura.

    2. La data di scadenza è la data entro la quale il prodotto alimentare va consumato; essa va indicata con la dicitura “da consumarsi entro” seguita dalla data oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura.

    3. La data si compone dell’indicazione, in chiaro e nell’ordine, del giorno, del mese e dell’anno.

    4. La data può essere espressa:

    a)    con l’indicazione del giorno e del mese per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi;

    b)    con l’indicazione del mese e dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi, ma per meno di diciotto mesi;

    c)     con la sola indicazione dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per almeno diciotto mesi.

    5. Qualora sia necessario adottare, in funzione della natura del prodotto, particolari accorgimenti per garantire la conservazione del prodotto stesso sino al termine di cui ai commi 1 e 2 ovvero nei casi in cui tali accorgimenti siano espressamente richiesti da norme specifiche, le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono completate dalla enunciazione delle condizioni di conservazione con particolare riferimento alla temperatura in funzione della quale il periodo di validità è stato determinato.

    6. L’indicazione del termine minimo di conservazione e di qualsiasi altra data non è richiesta per:

    i)      gli ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che non siano stati sbucciati o tagliati o che non abbiano subito trattamenti; tale deroga non si applica ai semi germinali e prodotti analoghi quali i germogli di leguminose;

    j)      i vini, i vini liquorosi, i vini spumanti, i vini frizzanti, i vini aromatizzati e prodotti simili ottenuti da frutti diversi dall’uva nonché delle bevande dei codici NC 2206 00 91, 2206 00 93, 2206 00 99, ottenute da uva o mosto d’uva;

    k)    le bevande con contenuto di alcole pari o superiore al 10% in volume;

    le bevande analcoliche, i succhi ed i nettari di frutta, le bevande alcolizzate contenute in recipienti individuali di cap minata dal fabbricante o dal confezionatore in base alle caratteristiche del prodotto stesso, ai trattamenti ai quali è stato sottoposto, al materiale usato per il confezionamento e ad altri parametri; le indicazioni “da consumarsi entro il …” o da “consumarsi preferibilmente entro il…” assumono quindi un valore relativo, perché in alcuni casi prevalgono interessi industriali o commerciali che determinano un prolungamento sia della data di scadenza che del termine minimo di conservazione.

    Riguardo questo problema ricordiamo che le spese per i test di durabilità possono più facilmente essere sopportate dalle grandi aziende agroalimentari che non da quelle piccole le quali, molto spesso riportano la data di scadenza o il termine minimo di conservazione senza verificare il mantenimento di buone caratteristiche organolettiche entro tale data.

    Così la data di scadenza e il termine minimo di conservazione di molti prodotti vengono spostati arbitrariamente in avanti; si riportano alcuni esempi:

    -         il prosciutto cotto affettato. Questo prodotto quando viene confezionato in vaschetta di materiale plastico, non dovrebbe superare i 20 giorni di conservazione, mentre alcune aziende fissano date di scadenza molto variabili, che arrivano anche fino ai due mesi;

    -         l’olio d’oliva extra vergine. Alcune aziende consigliano il consumo entro sei mesi, altre addirittura arrivano ad oltre diciotto mesi, limite senza dubbio eccessivo, in quanto le caratteristiche nutrizionali e di gusto si modificano con il passare del tempo, soprattutto se il prodotto non viene conservato in modo adeguato;

    -         il caffè. Alcune aziende fissano la data limite di conservazione tra i sedici ed i diciotto mesi. Esperti del settore asseriscono che il caffè non può mantenere l’aroma e la fragranza per un tempo tanto lungo. Solo in alcuni casi, lattine di metallo sotto vuoto, si può arrivare a dodici mesi, negli altri, nettamente di meno;

    -         lo yogurt. Il periodo di validità del prodotto, comunemente riferito, è di circa un mese. Un ulteriore prolungamento di dieci, venti giorni, non di rado adottato dai produttori per motivi commerciali, non provoca problemi di alterazione dell’alimento ma porta a ridurre in modo quantitativamente apprezzabile il numero dei microrganismi vivi, snaturando le caratteristiche essenziali del prodotto;

    -         i pelati. Quasi tutte le confezioni riportano scadenze di due anni; esperti di tecnologie alimentari asseriscono che il processo produttivo garantisce questi prodotti soltanto per sei, nove mesi;

    -         la mozzarella. Alcuni produttori fissano il periodo di conservazione tra dieci o venti giorni, quando il Consorzio di tutela del prodotto consiglia, al massimo, quattro o cinque giorni.

     

    Il termine minimo di conservazione non funziona come termine di commerciabilità e tanto meno come termine di commestibilità, ma è semplicemente la garanzia fornita dal fabbricante che quel prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione e non è prevista nessuna sanzione amministrativa in caso un prodotto sia posto in vendita o distribuito oltre questo tipo di termine.(66-69)!”

     

    SULLE UOVA…

    _L’uovo è un alimento certamente economico (un grammo di proteina delle uova costa 36 lire contro le 87 lire di quella contenuta nella carne bovina, e le 57 lire di quella contenuta nella mozzarella!) le cui proteine vengono ritenute pregiate.

    Vi sono però alcune informazioni che possono aiutarvi ad evitarne la degradazione e l’impoverimento; ve le forniamo di seguito.

    Le uova sono classificate nelle seguenti categorie di qualità:

    -         categoria A o “uova fresche” (Le uova della categoria A vengono classificate anche in base al loro peso.);

    -         categoria A “EXTRA” O 

    -         categoria B o “uova di seconda qualità o conservate”;

    -         categoria C o “uova declassate destinate alle aziende riconosciute per la produzione di ovoprodotti.

    Le fascette d’imballo devono riportare, tra le altre, le seguenti indicazioni obbligatorie:

    -         la categoria di qualità e la categoria di peso;

    -         l’avviso “dopo l’acquisto conservare le uova in frigorifero”.

    Per quanto riguarda la temperatura di mantenimento delle uova non vi è nessun obbligo imposto; infatti la decisione n. 371/94 CEE ha disposto che le uova, dal momento della produzione sino a quello della vendita al consumatore, siano conservate in locali asciutti a temperatura possibilmente costante e lontano da fonti di calore o da esposizione diretta ai raggi solari.

    Ragion per cui le uova possono essere tenute sui banchi di vendita a temperatura ambiente, indipendentemente dalla stagione, a scapito della qualità del prodotto, in quanto l’uovo subisce un processo naturale di invecchiamento tanto più veloce quanto più elevata è la temperatura.

    -         l’indicazione della data di durata minima o termine minimo di conservazione per le uova di categoria A (da consumarsi preferibilmente entro…).

    La data di durata minima è dunque l’indicazione temporale fissata su responsabilità del centro di imballaggio. La Comunità Europea ha disposto che la data di durata minima sia stabilita in un tempo massimo di 28 giorni dalla data di deposizione (data limite di vendita); sarebbe auspicabile che la freschezza non fosse limitata al concetto di tempo ma anche a quello di temperatura.

    Infatti, un uovo conservato un mese a 5°C è indubbiamente più “fresco” di un uovo conservato 10 giorni a 30°C.

    -         l’indicazione “EXTRA” seguita dalle parole “fino al…” ed il riferimento al giorno ed al mese per le uova della categoria A commercializzate con la dicitura EXTRA. (67-139)!

     

    Altro canale di comunicazione tra le aziende produttrici ed il consumatore potrebbe essere la pubblicità.

           

           PUBBLICITÀ COME INFORMAZIONE?

     

    Difficile crederlo. Ormai pubblicità è sinonimo di spettacolo, di interruzione dei programmi televisivi, ma raramente il concetto di pubblicità si lega con quello di informazione.

    Gli spot pubblicitari televisivi o radiofonici, le televendite o telepromozioni, i cartelloni pubblicitari per strada, gli spazi sui giornali, le promozioni nei supermercati: sono tanti i momenti in cui un determinato produttore potrebbe aggiornarci su quelle che sono le uniche notizie veramente importanti di un prodotto alimentare: quanto e cosa contiene, le sue caratteristiche salutari, la sua effettiva utilità.

    Come ognuno di noi può facilmente rendersi conto, la maggior parte degli alimenti pubblicizzati non è assolutamente fondamentale per la nostra dieta giornaliera ma è rappresentata essenzialmente da “sfizi” che, come tali, andrebbero consumati “una tantum”.

    Basta però dare un’occhiata ai fatturati delle aziende di prodotti dolciari e biscotteria per rendersi conto che non è così.

    Come tutti i prodotti superflui, hanno bisogno di maggiori passaggi pubblicitari per essere ricordati ed acquistati, rispetto ai prodotti primari (a nessuno, infatti, verrebbe in mente di fare la pubblicità del pane!); così si innesca un meccanismo che, economicamente, ricade sui consumatori che continuano a comperare un prodotto sul cui prezzo sono state ricaricate le spese pubblicitarie.

    Nessuno di noi può ignorare il bombardamento pubblicitario a cui siamo sottoposti quotidianamente, eppure ognuno di noi è probabilmente convinto di poter continuare a vedere la televisione e dominare l’insinuante messaggio degli spot senza lasciarsi influenzare nei suoi acquisti.

    _A questo proposito riportiamo i risultati di una ricerca riguardante il rapporto efficacia-efficienza nel settore pubblicitario, commissionata da un’agenzia pubblicitaria; per realizzarla è stato misurato l’ascolto televisivo ed il comportamento d’acquisto di un campione di consumatori.

    I risultati emersi dalla ricerca indicano che già dopo una prima esposizione dei telespettatori agli spot si registrano importanti ricadute sulle vendite dei prodotti reclamizzati.

    Nella ricerca, inoltre, si parla anche di un metodo utilizzato per calcolare l’effetto immediato sul telespettatore della pubblicità, in modo da poter modificarne le caratteristiche sulla base dei risultati riscontrati; il metodo è denominato Stas (Short terms advertising strenghts-impatto pubblicitario a breve termine).

    Questo metodo si basa su monitoraggi settimanali o addirittura giornalieri del gradimento da parte

    del consumatore di una data campagna pubblicitaria in atto; nel caso questa non risulti soddisfacente sono previsti cambiamenti o lanci di nuove campagne.

    Con questo metodo, negli Usa, si è calcolato l’effetto immediato della pubblicità sulle vendite, monitorando l’andamento di 78 prodotti di varie aziende.

    Undici di queste, che hanno investito ingenti somme in comunicazione commerciale ed in monitoraggi frequenti, sono in breve cresciute del 35%; mentre i 15 prodotti supportati unicamente da notevoli spese pubblicitarie sono balzati in avanti del 7%; quelli immessi sul mercato, senza

    campagne pubblicitarie e quindi senza monitoraggi, hanno perso il 4%.

    In conclusione, viene consigliata una pressione pubblicitaria molto più fitta rispetto al passato con una scelta accurata e continuamente monitorata dei mezzi, dei messaggi e delle risorse. Soprattutto lo scopo è quello di convincere chi ancora non ha optato per una marca piuttosto

    che per un’altra. (88-142)

    _D’altra parte si dice che le campagne politiche siano fatte non per chi ha già una convinzione politica e quindi sa per chi votare, ma per chi è ancora indeciso ed influenzabile.

    Quindi se non vi piace l’idea di essere in balia delle seduzioni pubblicitarie, non c’è altro da fare che informarsi al meglio e scegliere conseguentemente.

     

    _Passiamo ora ad analizzare il settore alimentare dal punto di vista economico-pubblicitario.

    In questa tabella abbiamo raggruppato le principali aziende alimentari, in ordine di rilevanza degli investimenti pubblicitari effettuati nel 1997; ne abbiamo evidenziato il fatturato, l’utile, la percentuale degli utili sul fatturato e gli investimenti pubblicitari, e ne abbiamo estrapolato una serie di dati che ci sono sembrati insospettatamente interessanti.

    (Tutte le cifre sono in miliardi e si riferiscono all’anno 1997.)

     

    B) Investimenti pubblicitari aziende; C) Investimenti pubblicitari delle aziende su investimento pubblicitario del settore alimentare; D) Fatturati delle aziende; E) Fatturati aziende su fatturato del settore alimentare (132.000 mrd; F) Utili aziende; G) Utili aziende su fatturati aziende; H) Investimenti pubblicitari aziende su fatturati aziende; I) Investimenti pubblicitari aziende su utili aziende (numeri assoluti).

    A)

    AZIENDE

    B)

    IPA

    C)

    IPA/

    IPSA %

    D)

    FA

    E)

    FA/

    FSA %

    F)

    UA

    G)

    UA/

    FA %

    H)

    IPA/

    FA %

    I)

    IPA/

    UA

    Ferrero spa

    468

    9.0

    3.032

    2.2

    140

    4,6

    15

    3.3

    Coca Cola Italia srl

    173

    3.3

    1.233

    0.9

    31

          2.6

    14

    5.6

    Perfetti spa

    127

    2.4

    993

    0.7

    83

    8.4

    13

    1.5

    Lavazza Luigi spa

    93

    1.7

    1.275

    1

    60

    4,8

    7.2

    1.6

    Star spa

    80

    1.5

    811

    0.6

    28

    3.5

    9.8

    2.9

    Parmalat spa

    64

    1.2

    1.665

    1.3

    25

    1.5

    3.8

    2.6

    Davide Campari Milano spa

    59

    1.1

    631

    0.5

    126

    20

    9.3

    0.5

    Saiwa spa

    53

    1.0

    382

    0.3

    8

    2.1

    14

    6.6

    Acqua minerale San Benedetto spa

    49

    0.9

    593

    0.4

    18

    3.1

    8.2

    2.7

    Martini & Rossi spa

    46

    0.8

    527

    0.4

    6

    1.3

    8.7

    7.7

    Birra Peroni Industriale spa

    44

    0.8

    524

    0.4

    20

    3.9

    8.3

    2.2

    Italaquae spa (Ferrarelle, etc…)

    44

    0.8

    361

    0.3

    15

    4.4

    12

    2.9

    Egidio Galbani spa

    43

    0.8

    2.137

    1.6

    40

    1.9

    2.0

    1.1

    Rovagnati spa

    21

    0.4

    188

    0.1

    2

    1.3

    11

    11

     

    Significato delle colonne:

    B) – F) -  I) Analizzando queste colonne ciò che balza agli occhi sono le grosse cifre spese in pubblicità rispetto agli utili, quasi sempre molto più bassi, ottenuti dalla vendita dei prodotti pubblicizzati!

    Ad esempio, la Ferrero ha investito in pubblicità una somma pari a 3,3 volte quella costituita dagli utili.

    C) Da questa colonna possiamo desumere, in percentuale, che fetta del mercato degli investimenti pubblicitari dell’intero settore alimentare, occupa l’azienda presa in considerazione.

    G) Queste cifre indicano in percentuale quanta parte del fatturato è costituita dall’utile.

    H) Questa colonna ci rivela quanto incide, in percentuale, il costo della pubblicità sul venduto e quindi, in qualche modo, l’utilità del prodotto.

    Infatti, più un prodotto è superfluo, più le aziende sono costrette a pubblicizzarlo per convincere i consumatori del contrario investendo quindi un’ingente parte del fatturato in campagne pubblicitarie.

    I)I dati che si possono rilevare da questa colonna ci sembrano molto interessanti in quanto ci dicono quanti miliardi di pubblicità sono stati spesi per conseguirne uno di utile.

    Alcuni risultati sembrano incredibili!!!

    E’ importante inoltre rilevare che sebbene gli spot pubblicitari televisivi riguardino molto spesso prodotti alimentari questo non dipende dal fatto che l’industria alimentare è la più importante del sistema produttivo nazionale.

    Infatti, il peso degli investimenti pubblicitari del settore alimentare (5.170 mrd) rispetto agli investimenti pubblicitari nazionali (27.887 mrd) è oltre 3 volte il peso del fatturato del settore alimentare rispetto al fatturato nazionale lordo.

    Ribadiamo che i miliardi spesi in pubblicità vengono caricati sui prezzi dei prodotti che, ovviamente, “lievitando”, possono indurre il consumatore a scegliere un prodotto meno esoso; nel qual caso l’azienda è costretta ad aumentare la sua pubblicità per riuscire a vendere il suo prodotto penalizzato da un prezzo maggiorato. (114/111/AUTO)

    _Si potrebbe anche notare che l’investimento pubblicitario concorre a mantenere in vita agenzie pubblicitarie, giornali, televisioni, ma è anche vero che tutto questo viene pagato dai consumatori e non direttamente dalle aziende (e crediamo che i consumatori ne farebbero volentieri a meno).

                                          

    * * * * * * * * * *

     

    Abbiamo visto che non è dalla pubblicità che potremo trarre le informazioni che ci necessitano sui prodotti e d’altra parte, quelle contenute sulle confezioni (ingredienti, scadenza, ecc.) non sono esaustive.

    Data l’importanza di una cultura sanitaria ed alimentare non sarebbe stato il caso di istituzionalizzare questa informazione, organizzando campagne, seminari, corsi, possibilmente gratuiti, magari da iniziare già nelle classi di grado inferiore? Possibile che non sia stato fatto?(AUTO)

     

    CHI AVREBBE DOVUTO INFORMARCI

     

    _Vi riportiamo subito l’introduzione alla risoluzione del Consiglio CEE del 14/4/75 nella quale si afferma che “il consumatore non è più considerato come compratore e utilizzatore di beni e di servizi per il proprio uso personale, familiare, collettivo, ma come individuo interessato ai vari aspetti della vita sociale che possano direttamente o indirettamente danneggiarlo come consumatore.

    I diritti fondamentali del consumatore, così definito, individuati dal programma sono:

    -         il diritto alla protezione della salute e della sicurezza;

    -         il diritto alla tutela degli interessi economici;

    -         il diritto al risarcimento dei danni;

    -         il diritto all’informazione e all’educazione;

    -         il diritto alla rappresentanza.

    I principi inderogabili su cui si deve basare l’informazione del consumatore sono:

    -         la conoscenza delle caratteristiche essenziali dei prodotti e dei servizi;

    -         la possibilità di operare una scelta razionale ed obiettiva conseguente;

    -         l’utilizzo in modo sicuro e soddisfacente di tali prodotti e servizi;

    -         l’esigenza di pretendere il risarcimento dei danni eventuali.

    La risoluzione del Consiglio CEE del 9/11/89 afferma che è necessario migliorare ancora l’informazione sulla qualità dei prodotti e servizi ed invita la Commissione a concentrare i suoi sforzi nella realizzazione di alcuni obiettivi prioritari:

    -         l’integrazione della politica di protezione e di promozione degli interessi dei consumatori nelle altre politiche comuni;

    -         il miglioramento del sistema di rappresentanza dei consumatori a livello comunitario;

    -         la promozione della sicurezza generale dei prodotti e dei servizi e per l’appunto il perfezionamento dei sistemi di informazione sulla qualità dei prodotti e dei servizi.

    In data 31/10/95 la Commissione dell’Unione Europea ha emanato una comunicazione sulle “priorità della politica a favore dei consumatori 1996-1998”.

    Tra le varie priorità in questo piano triennale troviamo:

    -         migliorare l’informazione e la formazione dei consumatori;

    -         migliorare la fiducia dei consumatori nei generi alimentari;

    si sottolinea inoltre che “informazioni inadeguate sono alla base di numerosi problemi dei consumatori per cui se è possibile fornire opportune informazioni, numerose difficoltà dei consumatori potranno essere superate”.

    La Commissione ritiene inoltre che alcune delle informazioni fornite sulle etichette dei prodotti siano “inutili per via della loro complessità, mentre risulta che non vengono affatto soddisfatte le esigenze informative di base”.(67-12)!

     

    Leggiamo poi nell’art. 2 della legge n. 833/78 istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale, che tra i suoi obiettivi vi sono:

    1)    la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;

    2)    la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro;

    Secondo l’art. 14 della stessa legge, riguardante i compiti delle USL, nell’ambito delle proprie competenze, l’unità sanitaria locale provvede in particolare:

    a)all’educazione sanitaria;

    c)alla prevenzione individuale e collettiva delle malattie fisiche e psichiche.

     

    Per quanto riguarda il Consiglio Superiore di Sanità leggiamo che: è un organo consultivo del Ministero della Sanità, costituito da 69 membri, fra i più eminenti studiosi ed esperti del mondo sanitario nazionale. E’ diviso in cinque sezioni competenti rispettivamente in: igiene dell’ambiente, medicina nucleare, medicina del lavoro, disciplina delle professioni sanitarie, educazione sanitaria!. (15-494)!

                                  

    * * * * * * * * * *

     

    _Il compito di impartirci un’educazione sanitaria, crediamo con l’intento di prevenire le patologie, rientra negli obiettivi del Sistema Sanitario Nazionale e spetta a ciascuna ASL, seguendo gli indirizzi fissati dal Consiglio Superiore di Sanità.

    Noi abbiamo cercato di reperire dei dati che permettessero di valutare come è stato svolto questo compito; il dato che permette la valutazione più immediata è quello dell’impegno economico.

    Dopo lunghe e penose ricerche nei meandri della burocrazia siamo riusciti ad ottenere ben due dati!!! Nel 1996 sono stati spesi direttamente dal Ministero della Sanità per campagne di Educazione Alimentare ben 1 miliardo e 300 milioni; nello stesso anno le ASL hanno speso per servizi presso terzi per Educazione Sanitaria 30 miliardi circa.

    Queste cifre richiedono qualche precisazione:

    -         i 1.300 milioni stanziati dal Ministero della Sanità quell’anno provengono da fondi stornati da altre Amministrazioni dello Stato, in quanto non esiste nel bilancio del Ministero un capitolo di spesa relativo all’Educazione Alimentare; negli anni 1997 e 1998 infatti, più difficili per le finanze pubbliche, all’Educazione Alimentare non è stata destinata nessuna somma. Per quanto riguarda gli anni precedenti al 1996 le persone del Ministero della Sanità con cui abbiamo parlato non ricordavano nulla;

    -         per quanto riguarda i 30 miliardi è da notare che riguardano l’Educazione Sanitaria in generale e quindi ANCHE, forse, l’Educazione Alimentare.

    E’ da notare quindi la differenza tra i 31 miliardi, al massimo, stanziati dalla Pubblica Amministrazione ed i 5.170, oltre 160 volte i primi, investiti dalle aziende per “informarci” (111). Una prima considerazione che può essere fatta su questa differenza e sulle sue conseguenze è che mentre chiunque ricorda un prodotto alimentare pubblicizzato, pochissimi ricordano campagne di informazione alimentare. 

    Eppure siamo sicuri che invece vi ricordate di quando dovevate imparare le poesie a memoria,  i sette Re di Roma in ordine cronologico,  i confini dell’Italia, il teorema di Pitagora, a giocare a  pallavolo; ma sul funzionamento del nostro corpo, forse sforzandoci, possiamo ricordare dei frammenti di lezioni, che qualche professore ha pensato di buttare lì, forse accorgendosi delle gravi lacune esistenti, forse…

    Siamo certi che argomenti importanti come quelli sanitario, fisiologico, alimentare non possano essere trattati esaurientemente in qualche sporadica lezione o in seminari di qualche ora, come non potrebbero esserlo la matematica e la storia.(AUTO)!

    _L’informazione dei cittadini-consumatori può essere fornita in vari modi ma bisogna essere sicuri che i metodi vengano presentati con cura, in una forma e con un linguaggio che risultino  comprensibili a tutti, sincerandosi poi dell’avvenuto recepimento delle nozioni, passaggio questo quasi sempre tralasciato, dal quale invece possono scaturire ed essere chiariti gli ultimi dubbi.(2-181)!

    _Certi che l’importanza di queste informazioni non possa essere negata da alcuno, ricordiamoci che “guardarsi dentro” può significare per alcuni porre attenzione alla psiche o all’anima, ma per tutti dovrebbe voler dire guardare al funzionamento del proprio organismo, imparando a soddisfarne le reali necessità, in modo da prevenirne gli squilibri ed evitare patologie.(AUTO)!

     

     

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